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L’empatia viene definita come la capacità di “porsi nella situazione di un’altra persona” e di comprenderne immediatamente e in maniera intuitiva i processi psichici. Dal greco en-pathos “sentire dentro”, l’empatia è la capacità di mettersi in relazione con il mondo percependo le emozioni altrui e partecipando in prima persona delle loro gioie e dolori.
Al centro dei dibattiti della filosofia analitica, in particolare della filosofia della mente, nonché della moderna psicologia, dal secolo scorso l’empatia è generalmente considerata una modalità naturale di conoscenza e comunicazione, che si articola in chiave emotiva piuttosto che su freddi calcoli razionali.
Negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, l’empatia è stata esaltata e promossa a tutti i livelli, da quello sociale (il più immediato), a quello politico, artistico, culturale ed economico. Riuscire a immedesimarsi nella gioia o nel dolore altrui sembra essere una qualità preziosa da coltivare e preservare con l’idea di fondo che un mondo di persone empatiche sarebbe un mondo più giusto.
Nel 2006 Barack Obama, parlando agli studenti della Northwestern University, suggeriva di riflettere e di porre l’attenzione non solo sulle mancanze politiche ed amministrative del paese, ma anche sul suo deficit di empatia, cioè la capacità di mettersi nei panni degli altri e di vedere il mondo attraverso i loro occhi.
Negli anni a seguire la parola empatia è entrata nel vocabolario quotidiano di dottori, poliziotti, manager, politici e intellettuali. Arianna Huffington scriveva nel 2012 a proposito dell’ascesa dell’empatia in America:
L’unico modo per far uscire il mondo dalla recessione ed indirizzarlo verso una strada migliore è di rifarsi ed attingere a un collettivo senso di responsabilità gli uni verso gli altri.
Al concetto di empatia sono poi stati dedicati numerosi articoli e libri, come il lavoro di Jeremy Rifkin: “La civiltà dell’empatia” (2010), o quello di Federico Fortuna e Antonio Tiberio: “Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione” (2007). Insomma, il potere dell’empatia è stato ampiamente descritto e celebrato, almeno a parole. E parlarne è diventato un trend.
Eppure c’è qualcuno che non ne è così convinto. Come raccontato dalla rivista statunitense The Atlantic, gli studiosi americani Paul Bloom e Richard J. Davidson mettono in dubbio il valore, i benefici e l’utilità di questa dote d’oro, dando voce ad una curiosa posizione alternativa.
Secondo lo Bloom (psicologo) e Davidson (neuroscienziato) essere troppo empatici porterebbe quasi più svantaggi che benefici. In maniera provocatoria i due studiosi sostengono che essere empatici equivarrebbe addirittura a essere persone peggiori. Non si mette qui in discussione la gentilezza, il rispetto, la bontà, il rigore morale e l’amore che dovrebbero accompagnare ciascuno di noi; quello che viene contestato è l’attitudine a percepire i sentimenti altrui proprio come se fossero nostri. Provare davvero i sentimenti degli altri potrebbe essere rischioso.
Ecco perché:
1. Tendiamo per natura ad essere maggiormente empatici con chi ci assomiglia di più, ma per questo l’empatia rischia di essere “ignorante” e “bigotta”, spingendoci a sostenere le cause delle persone più vicine e simili a noi invece di mobilitarci per cause più importanti nelle quali però è più difficile immedesimarci.
2. Si rischia così di concentrare energie e attenzioni su un piccolo caso che ci colpisce con più forza, invece che su questioni di più grande portata che tuttavia non hanno lo stesso impatto emotivo.
3. Le persone empatiche possono, in determinate condizioni, rivelarsi quelle più violente, poiché hanno maggiore probabilità di assorbire emozioni negative in un clima di tensione e aggressività. Spesso, sono anche quelle più inclini a voler imporre dure punizioni a chi ha commesso dei crimini, rafforzando così la spirale di violenza anche se trasportata su un piano legale.
4. La vita delle persone empatiche non sarebbe più virtuosa di quella degli altri. Studi scientifici hanno dimostrato che i livelli di empatia delle persone non sono di per sé legati alla felicità, alla gentilezza o alla carità. Nelle professioni incentrate sull’aiutare gli altri, come nel caso degli psicoterapeuti, l’empatia può essere un vero ostacolo tale da impedire il corretto svolgimento del mestiere, nel caso in cui l’eccesso di empatia provochi sovraccarichi emozionali.
5. L’empatia infine non aiuterebbe nemmeno nella vita di coppia. Se ci succede qualcosa di brutto vorremmo che il nostro partner ci desse amore, comprensione e sostegno. Non vorremmo però che provasse esattamente quello che proviamo noi, altrimenti dovremmo preoccuparci non solo del nostro stato d’animo negativo ma anche del suo.
Quindi che cosa dovrebbe sostituire l’empatia? Per i due studiosi americani ci vuole più comprensione e compassione. La compassione è da loro considerata un atto psichico distinto dall’empatia (nonostante la loro etimologia sia molto simile: compassione infatti viene dal latino cum-patior: sentire insieme, mentre empatia em-pathos, sentire dentro), che rappresenterebbe una valida alternativa all’eccessiva immedesimazione negli stati d’animo altrui.
Come scrive il giornalista del Guardian Oliver Burkeman, ripreso da Internazionale:
È difficile accettare che a volte potremmo avere una visione più chiara del mondo se resistiamo alla tentazione di metterci nei panni degli altri. Ma a volte evitare le personalizzazioni è il modo migliore per prendere decisioni.
Le nostre azioni devono derivare da quello che speriamo per gli altri, e non da quello che ci scuote emotivamente di più. Non per forza l’aiuto che diamo a persone con cui ci sentiamo emotivamente connessi è migliore e più efficace, anzi. La spinta ad aiutare gli altri non deve per forza venire dall’empatia, può derivare dall’amore, da una gentilezza disinteressata, dall’altruismo, sentimenti non meno intensi ma che comportano una maggiore distanza emotiva.
In ogni caso gli studi sul valore e le potenzialità dell’empatia nella comunicazione e nell’interazione tra gli esseri umani sono troppo numerosi per essere messi semplicemente da parte. Forse occorre tenere a mente che partecipare a una particolare condizione emotiva non deve voler dire farsene interamente carico: dev’essere uno dei tanti modi per comprenderla meglio.
Nel nostro mondo sapere guardare attraverso gli occhi e la prospettiva delle altre persone, e soprattutto di chi è diverso da noi, è una condizione necessaria per il rispetto reciproco e per non rischiare di pensare “l’altro” come un oggetto.
Saper percepire le emozioni e i sentimenti altrui è un elemente essenziale delle relazioni umane, ma senza dubbio occorre farlo senza mettere in gioco il proprio equilibrio psichico.