Il sindaco uscente di Parma ricorda la prima vittoria dei 5 Stelle a dieci anni di distanza
Matteo Pucciarelli fonte
PARMA. Quando nel maggio 2012 uno sconosciuto Federico Pizzarotti, 38 anni, fu eletto sindaco con l’allora semi-sconosciuto M5S, per qualche settimana Parma diventò un caso politico internazionale. “C’erano anche le tv americane fuori dal Comune – racconta lui – all’inizio volevano tutti sapere cosa stessi facendo, ma mica avevo i superpoteri, non è che tutti i giorni fai un provvedimento. Comunque a quel punto decisi di fare una conferenza stampa al giorno, appuntamento alle 9 del mattino. I giornalisti mi guardarono male…”. Quella vittoria fu un antipasto delle Politiche del 2013: stavano per arrivare i ‘barbari’, ma Pizzarotti era il meno ‘barbaro’ della compagnia.
La sua avventura alla guida della città emiliana è ormai agli sgoccioli, forse un po’ come la storia di quei 5 Stelle dai quali andò via nel 2016. La scrivania del suo ufficio è sgombra, accanto c’è un tavolino con adagiato su di un cuscino rosso lo scettro ducale, si utilizza in rarissime cerimonie cittadine, ad esempio nel caso di morte prematura di un sindaco in carica. “Per fortuna non è servita…”, sorride.
Come avvenne il miracolo del 2012?
“Fu una tempesta perfetta. Il centrodestra si presentò spaccato in due, il centrosinistra aveva un candidato di lungo corso, la città era a un passo dal default. Il Movimento prometteva il cambiamento e presentava un volto nuovo e fresco”.
Che 5 Stelle eravate?
“Avevamo un approccio più istituzionale e rivoltò alla città, meno ribellistico, non avevamo mai detto ‘zombie’ o ‘Pd-meno-elle’, non scimmottaviamo il M5S nazionale. Il meetup di Parma si chiamava ‘non solo grilli’, della serie va bene Grillo ma siamo autonomi, a pensarci bene era antesignano di quel che sarebbe successo. Poi certo, c’erano anche tanti personaggi bizzarri, insomma c’era proprio di tutto. Il gruppo storico era composto da amici che sono rimasti tuttora tali. Oggi nei territori invece non hanno più nessuno, la maggior parte anche qui se n’è andata via schifata. Il M5S è stato colonizzato da tanta gente in cerca d’autore, i pasdaran del tutto e contrario di tutto”.
Vi aspettavate quel successo?
“All’epoca ci sondaggi ci davano al 5 per cento. Una volta arrivati al ballottaggio però si si sentiva nell’aria, c’era una forte voglia di cambiare in città, si capiva che era un vento inarrestabile. Alcuni di noi erano terrorizzati all’idea di prendere in mano il Comune, con tutti i problemi che aveva oltretutto”.
E il rapporto con Grillo e Casaleggio com’era all’epoca?
“Prima del voto avevamo fatto un incontro con Gianroberto Casaleggio a Milano, come si usava allora, e gli avevamo detto ‘andremo al ballottaggio’. Ci guardarono con sufficienza. Poi prima del ballottaggio venne Grillo in città, 10 mila persone in piazza, una cosa mai più vista qui”.
Viene eletto e si ritrova davanti la difficile realtà di governo, su piccola scala: l’inceneritore che contestavate non si può bloccare.
“Avevamo sempre detto che una volta eletti avremmo visto le carte e cercato di capire che spazi di manovra avremmo avuto. Facemmo dei ricorsi, senza successo. Perdemmo la battaglia, è vero, quello era un fattore iconico. Ma la guerra no, il tema era più che altro culturale”.
E lì si ruppe il rapporto con Grillo?
“Quello fu il pretesto, poi ci fu una riappacifazione, ma insomma il tutto di volta in volta veniva usato a convenienza del momento politico. Sai, all’opposizione puoi fare anche il fenomeno. Vedi Alessandro Di Battista che disse di volersi incatenare all’inceneritore, ok lo fai un’ora o un giorno e poi? A quest’ora sarebbe ancora incatenato lì, con l’inceneritore intanto entrato in funzione. Una delle pecche più gravi del M5S è essere stato un fenomeno tutto mediatico, senza voler mai davvero coltivare il rapporto con il territorio. E poi se sei nelle istituzioni puoi utilizzare gli strumenti delle istituzioni, altrimenti fai solo caciara populista. Comunque, quello era il periodo delle purghe, delle gogne mediatiche, una vera pesantezza”.
Qualcuno di quelli che oggi hanno rifatto il suo stesso percorso fatto di compromessi di governo e alleanze le fu solidale?
“Non mi scrisse nessuno in quel periodo a parte una persona che poi è uscita pure lei, fu una delusione non tanto per me ma per loro stessi. Ricordo che Rocco Casalino intimava ‘non parlate di Parma’, nel 2014 avemmo un alluvione a Parma e Piacenza, loro facevano i comunicati dicendo ‘mandate i soldi a Piacenza’, e non citavano a Parma. Andavamo agli eventi di Italia 5 Stelle, ci guardavano male, ‘siete passati al nemico’, dicevano. Eppure sono uno degli unici sindaci che si sono tagliati gli stipendio, Nicola Morra che faceva il puro parlando di noi ora ha richiesto l’indennità da presidente di commissione indietro. Comunque alla fine siamo usciti da soli perché non avevano neanche il coraggio di cacciarci. Mi arrivò un avviso di garanzia, dal famigerato staff di Grillo mi chiesero le carte per farmi giudicare dai probiviri con una mail che non era neanche firmata con nome e cognome. La mia posizione fu archiviata dopo qualche mese, la giustizia italiana funzionò prima di quella del M5S. A quel punto la presa in giro era chiara e ce ne andammo”.
A proposito di inceneritori, cosa pensa del no del M5S a quello di Roma?
“Che qui il no aveva delle ragioni ben precise e pragmatiche, l’Emilia-Romagna importa spazzatura da fuori e di impianti ce n’erano già diversi. A Roma non ce n’è uno. Pensano per caso che creare discariche dove ammassare rifiuti alla rinfusa sia meno inquinante? O che mandarla fuori riempiendo le autostrade di camion non abbia un impatto?”.
Roma, Torino, Livorno, Ragusa e così via. Il bis del M5S alla guida di una città non è riuscito a nessuno, a lei però sì. Come se lo spiega?
“Non abbiamo mai abbassato la testa, non abbiamo mai derogato all’idea di dire ciò che pensavamo. Grande gratificazione comunque, il M5S qui al secondo giro nel 2017 prese il 3 per cento: spariti. Come si suol dire: parlano i fatti”.
Ha mai più sentito Grillo?
“Mai più. Ma lui strategicamente non ha mai inciso. Faceva tutto Casaleggio, Grillo era davvero ‘il megafono’. Oggi che dire, evito di commentare per carità la storia dei 300 mila euro di ingaggio per la sua comunicazione”.
Quali sono tre cose dei dieci anni di sindaco che considera davvero qualificanti dei suoi valori?
“La lungimiranza nel piano ventennale di rinnovamento delle scuole. I diritti civili: l’istituzione del garante dei detenuti, degli animali, il disability manager, la bigenitorialità, le unioni civili prima della Cirinnà, il registro del testamento biologico, l’attestato di civica cittadinanza ai bambini immigrati nel 2014. Poi abbiamo cambiato l’immagine della città: aperta al mondo, creativa, capitale della cultura nel 2020 e 2021”.
La sua carriera politica proseguirà?
“Vedremo più in là, la voglia di fare qualcos’altro c’è e penso ci sia anche la necessità di Parma di avere un riferimento fuori dai confini locali”.
Parma torna al voto con voi ex 5 Stelle alleati del centrosinistra, il candidato sindaco è un suo assessore, Michele Guerra. Anche il M5S a livello nazionale è arrivato alla fine a questa conclusione, cioè l’alleanza con il Pd. Non le fa effetto?
“Intanto la prima volta che si sono alleati loro lo hanno fatto con la Lega. Comunque a seconda del territorio il M5S aveva una sua identità, qui c’erano tanti delusi della sinistra, il campo valoriale era quello. I programmi erano simili. Il nostro a Parma non è stato un fattore di convenienza o un percorso di comodo”.
Conte l’ha mai sentito invece?
“Come leader politico no. Come me, è diventato presidente del Consiglio quasi per caso, lo ha fatto in uno dei momenti più difficili a livello mondiale, ha preso decisioni non semplici. Ma fare il premier è una cosa, il capo di un partito un’altra. Penso che il M5S si sgonfierà, il peso elettorale reale sarà del 5-10 per cento, i sondaggi lo sovrastimano. Questo determinerà un vuoto che andrà colmato e servirebbero forze civiche, territoriali, che possano spendersi contro una destra-centro”.
Ma alla fine secondo lei il Movimento ha rappresentato qualcosa di comunque positivo per la politica italiana?
“Positivo nella misura in cui ha catalizzato il malcontento, che diversamente poteva sfociare in qualcosa di peggio. Il problema è che questa energia si è dispersa, non ritornerà agli alvei di provenienza ma finirà nell’astensione e nella disaffezione. Se manca la politica non c’è democrazia e questo spaventa molto”.