Più delle mille voci della rete servono proposte: si ristrutturano i Murazzi, si fa funzionare il Regio…

di MAURIZIO FERRARIS*

Dopo il primo intervento di ieri di Giovanni Durbiano, architetto e docente del Politecnico, continua il ciclo di articoli sulle potenzialità di un nuovo civismo in vista delle elezioni che tra meno di un anno chiameranno i torinesi alle urne per rinnovare l’amministrazione. Oggi interviene Maurizio Ferraris, filosofo e accademico.

Qualche considerazione più generale a margine dell’utilissimo articolo di Giovanni Durbiano uscito ieri. Si sono, mi pare incontestabile, consumati i miti della democrazia diretta e dell’uno vale uno, e questa è un’ottima cosa. Abbiamo inoltre constatato che al tempo dei social il politico (sempre uno, sempre solo) non è un influencer, ma un influenced, uno che naviga a vista proponendo una sola idea vaga e declinandola secondo gli umori del pubblico.

Positività, esemplarità, sovranità: una nuova politica contro gli specchietti per allodole del Web

Maurizio Ferraris

A rigore, dunque, non è nemmeno un politico, visto che non governa ma chiede consenso e subisce la dittatura del proletariato. Di qui si può partire per gettare le basi di una nuova politica ai tempi del Web, che vorrei riassumere in tre punti: positività, esemplarità, sovranità.

Con “positività” intendo questo. I mille fiori, la sinistra plurale, le mille voci sul web sono uno specchietto per allodole. Quello che si realizza è invece un pensiero unico, in genere balordo e oppositivo (le due grandi opzioni sono prendersela con i troppo ricchi o con i troppo poveri, ferma restando la possibilità di prendersela con entrambe le categorie) di cui il leader si fa vessillo e modulando in base ai like.

Si fa invece politica per una serie di punti, e non per una idea vaga, e punti propositivi: si ristrutturano i Murazzi, poniamo, si fa funzionare il Regio, con che programmi, con quali risorse, eccetera. E soprattutto, per quel che mi riguarda, si cerca di capire che l’Università e il Politecnico sono la più grande realtà sociale, economica e lavorativa della nostra città (spesso si ragiona ancora come se quel posto fosse occupato dalla Fiat).

Con “esemplarità” intendo il fatto che il politico non deve essere uno di noi ma, sperabilmente, un po’ meglio. Se c’è un caso in cui l’uno vale uno ha dimostrato tutta la sua futilità è proprio nella torma di dilettanti che ha ingolfato l’arena politica. Anche pittoreschi e capaci di proporre Lino Banfi come patrimonio dell’umanità, ma inetti e non è colpa loro. Chi si candida deve avere dimostrato di saper far qualcosa nel suo campo, essere consapevole di sottoporsi, in fase elettorale, a una guerra spietata in cui si frugherà nel suo passato (ci pensi dunque prima di candidarsi). Ma se l’esame passa, si avrebbe una persona capace al governo.

Con “sovranità” intendo: al politico deve essere concesso di governare, nei limiti del suo mandato. Questo per evitare fenomeni grotteschi come la richiesta in spiaggia di pieni poteri, che certo la costituzione non prevedeva. I buoni esempi di sovranità sono altri, per esempio Churchill che non accettando, dopo la caduta della Francia, le offerte di pace di Hitler, non è certo andato incontro al sentimento diffuso degli inglesi in quel momento, ma ha eseguito il mandato che gli era stato assegnato, ci ha liberati da Hitler, ed è stato mandato a casa un mese dopo che la guerra si era conclusa vittoriosamente.

E il popolo? Sarebbe intanto utile considerare che il popolo non esiste, esistono esseri umani di diversa intelligenza, capacità, disponibilità economica, influenza sociale, che possono incontrarsi sui programmi ( le piattaforme sono fatte per quello). Programmi che più sono definiti nel dettaglio meglio è (maggiore è la possibilità di realizzarli), e ovviamente scegliere i propri delegati. Con la consapevolezza che, una volta eletti, faranno quello che devono fare, e che gli insoddisfatti saranno rimborsati non subito, ma alla fine del mandato.

Tutte queste sono linee di politica conservatrice, che però, si badi bene, si collocano in un contesto rivoluzionario di cui occorre prendere le misure. Come ogni ricettore di messaggi è oggi, potenzialmente o attualmente, un produttore di messaggi, così ogni cittadino è potenzialmente un politico, tanto in fase propositiva, di elaborazione del programma, quanto in fase esecutiva, se viene eletto. E positività, esemplarità e sovranità saranno un contrappeso più che sufficiente rispetto allo spontaneismo.

Ciò premesso, dobbiamo metterci tutti al lavoro per elaborare programmi, ce n’è bisogno tanto quanto c’è bisogno di politici. Diffidate di coloro che dicono che bisogna parlare di “temi” e non di “nomi”: i nomi incarnano dei temi, se sono nomi di persone serie. E i temi non possono prescindere dai nomi che si immagina possano portarli avanti, altrimenti è un libro dei sogni. La discussione, dunque, è aperta.

* Filosofo e accademico, dal 1995 è professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino

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