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Daniele Rielli, 29 luglio 2015

Osservare la parabola con cui dai festeggiamenti per il “no” al referendum greco passando per il discorso di Tsipras all’Europarlamento la Grecia si è schiantata contro il muro della dura realtà dei rapporti di potere, mi ha fatto tornare in mente il noto dialogo, riportato da Tucidide, fra gli abitanti dell’Isola di Melo e i potenti ateniesi, solo che questa volta gli ateniesi erano interpretati dai tedeschi, in un  ricorso storico un po’ cinico, baro e, forse, coi calzetti bianchi. Allora si era nel corso della guerra del Peloponneso e la flotta ateniese approdò presso l’isola di Melo per spiegare ai suoi abitanti (coloni spartani) che la loro neutralità nel conflitto non sarebbe più stata tollerata. Non perché non fosse giusta, condivisibile o perché poco educata, ma perché da abitanti dell’isola di Melo quali erano, semplicemente, non potevano permettersela, se ad Atene la pensavano diversamente.

Spesso questo dialogo è considerato uno dei primi momenti storici in cui vengono esplicitate le forze che regolano i rapporti fra potenze.

Tucidide mette in bocca ai portavoce ateniesi e a quelli dell’isola di Melo tutte quelle valutazioni di forza che di norma si occultano dietro proclami di giustizia e diritto.

A questo proposito sono soprattutto gli ateniesi ad avere idee molto chiare:

«Poiché voi sapete tanto bene quanto noi che, nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i più deboli vi si adattano».

Oggi questa frase aiuta a illuminare quell’errore che è stato anche di Tsipras, aver cioè scelto di giocare una partita sui valori politici, partendo però da una posizione subordinata, in un contesto in cui non si vince per il miglior argomento retorico, ma per la capacità d’imporre la propria linea con qualsiasi mezzo.

Lasciare le trattative in uno stato molto avanzato, indurre un referendum, vincerlo alla grande, ritardare la presentazione di un piano per fare un discorso molto ideologico all’Europarlamento e poi essere costretti ad accettare, dopo una trattativa di 13 ore, delle condizioni peggiori di quelle iniziali sono una serie di eventi che a viverli sulla propria pelle devono assomigliare molto a un incubo. Alla fine del quale probabilmente ci si sveglia con parecchi sudori e il dubbio di avere fatto qualche piccolo errore di valutazione.

Tucidide probabilmente individuerebbe questo errore nell’aver provato a giocare una partita secondo regole che non erano quelle degli uomini; noi, quasi duemilacinquecento anni dopo, possiamo provare a spingerci un po’ più in là e alla scarsa conoscenza antropologico-politica di Tsipras, possiamo aggiungere anche un dualismo fra Europa ideale ed Europa reale, che forse è il frutto potenzialmente più interessante di questo paragone storico.

Il leader greco ha fatto appello ai valori di un’Europa ideale, la Merkel dopo essersi prestata alla conferenza stampa con Hollande in cui ha declinato in ogni modo possibile il sostantivo “solidarietà”, al momento di calare le carte ha punito l’ingenuità del primo ministro greco, mostrando cosa conta davvero nell’Europa reale: il potere economico.

La mia tesi è che nonostante gli anni di crisi, di troike, di ricatti e di debiti che qualcuno ha pur contratto e bisognerà pur pagare, il motivo per cui si continua a parlare linguaggi diversi (anche se poi è solo uno quello che comanda) è la natura stessa dell’Unione europea

In un bell’articolo su questa rivista Paolo Pombeni osserva:

«Il fatto è che la Comunità europea è nata e si è sviluppata come un frutto dell’età dell’abbondanza e grazie a essa ha potuto fingere che si fondasse invece sulla condivisione di una cultura e di un costituzionalismo di tipo solidaristico-progressista. L’accettazione, più o meno convinta, di questi presupposti politico-culturali era legata al desiderio di entrare a far parte di un club in cui c’era da guadagnare in termini di benessere e di crescita economica».

Proprio questo è il dualismo che ora viene scoperto, l’Europa, concepita prima di tutto come mercato unico e poi, con l’allargamento affrettato, come tentativo di creare una “massa-critica” sufficiente a controbilanciare delle grandi nazioni favorite dalla globalizzazione, si è espansa su una promessa di generica diffusione di valori progressisti che risultava credibile solo grazie all’abbondanza. Ma in ogni vera unità politica arriva il momento di difficoltà e allora la natura reale della sua costituzione viene a galla.

L’Europa è ad oggi un mercato unico con una moneta unica, priva di una lingua comune ed oltre certi limiti anche di una cultura comune. La contrapposizione fra Nord e Sud Europa è solo la macroespressione di un conflitto culturale più complesso e frastagliato.

Come si potesse pensare di creare una comunità politica basandosi solo sulla condivisioni di mercato e moneta appare un mistero in momenti di crisi ma durante i periodi di vacche grasse deve essere necessariamente sembrato sensato, altrimenti non saremmo mai giunti a questo punto.

La realtà però è che l’Europa rimane un insieme di Stati nazionali separati, con le loro opinioni pubbliche, i loro interessi strategici, le loro tradizioni e le loro lingue. In un contesto del genere il più forte, o colui che riesce a creare le migliori alleanze, impone la sua agenda a tutti gli altri, la parte si ritrova a capo del tutto, un tutto che evidentemente non esiste se non come debole federazione di soggetti autonomi.

Per questo il discorso della comunità europea è spesso stato quello degli abitanti dell’isola di Melo, ovvero un continuo appello ai princìpi, e la pratica al contrario quella degli ateniesi, ovvero un duro scontro fra poteri freddi e cinici.

Eppure l’immagine di abbondanza Europa, nonostante tutto, colpisce ancora chi dentro l’Europa non ci sta. Trovandomi di recente a Tirana per un reportage, e intervistando politici, intellettuali e figure di spicco della società civile, mi è stato facile notare come, ora che l’Albania è candidata all’ingresso in Europa,  il clima pressoché unanime sia quello di chi si prepara a sedersi a un grande banchetto. Il fatto che la crisi della Grecia ( dove assieme all’Italia vive la più grande comunità albanese all’estero) maturata nel contesto europeo abbia già colpito duramente l’Albania, e potrà colpirla ancora più duramente nel prossimo futuro, non sembra in grado d’incrinare il potere di un sogno.

Il dato è interessante perché vedere cosa cerca l’acquirente di un prodotto ci può dire molto su quel prodotto, “prodotto” che in questo caso è l’Europa.

Torniamo per un attimo a Tsipras, proprio come i Meli che millantavano un probabile aiuto di Sparta, i greci di oggi avevano anche una buona carta da giocarsi: gli interessi strategici di Stati Uniti e Russia nell’area.

«Per quel che riguarda l’opinione che avete degli Spartani, e sulla quale basate la vostra fiducia che essi accorreranno in vostro aiuto per non tradire l’onore, noi vi complimentiamo per la vostra ingenuità, ma non possiamo invidiare la vostra stoltezza».

(L’opinione un po’ da gangster degli ateniesi antichi.)

Questo, forse, è l’unico tiepido argomento che poteva portare Tsipras al tavolo ma è stato bruciato da un approccio alla contrattazione assolutamente suicida.

In un’intervista al «New Statesmen», Varoufakis ha detto di aver rotto con Tsipras perchè il primo ministro non voleva preparare un bluff di Grexit. È chiaro che presentarsi senza un piano b, forti solo dei voti del referendum e dei bei discorsi, è la classica scelta da abitante dell’isola di Melo.

Per la cronaca l’isola di Melo fu cinta d’assedio, espugnata grazie a un tradimento, tutti gli uomini vennero uccisi, le donne e i bambini vennero venduti come schiavi, dopo di che gli ateniesi trasferirono in loco dei loro coloni.

Questo è il genere di cose che succedono quando le sproporzioni di potere fra stati sono troppo grandi e uno dei due soggetti in causa sembra non capirlo. La storia dell’uomo è piena di esempi del genere. Certo, non è la logica con ci si aspetta agisca l’Unione europea, ma il punto è: la nostra è un’aspettativa legittima per quello che oggi è l’Unione?

Può l’Unione europea con le sue istituzioni attuali, con la sua composizione che ha tirato dentro un po’ di tutto, e senza essere una vera comunità politica, uscire dalle logiche di puro potere che governano i rapporti fra Stati ed evolvere le proprie opinioni pubbliche e le forme istituzionali fino a creare vero soggetto politico unitario dove hanno cittadinanza anche idee politiche che vanno oltre la logica della sopraffazione?

Difficile, ma in fondo questo è l’unico vero tema sul tavolo.

Diversamente costruire un’unione esclusivamente economica e poi stupirsi che funziona solo secondo logiche di potere è un ragionamento da abitati dell’Isola di Melo, che purtroppo, si sa, non fanno mai una bella fine.

 

 

da filosofico.net

 

La traduzione e l’interpretazione delle Storie diTucidide ebbe una grande influenza nella formazione del pensiero di Thomas Hobbes. Vissuto all’incirca fra il 460 e il 400 a.C., Tucidide, ateniese fedele a Pericle, ebbe – come tutti i Greci della sua generazione – la vita segnata dalla Guerra del Peloponneso, della quale fu attento storico. La sua narrazione, nonostante il coinvolgimento personale, ha ben poco della cronaca e si presenta piuttosto come una distaccata indagine medica, condotta attraverso una “anamnesi” e una “diagnosi” e conclusa con una “prognosi”: la storia, in questo modo, non è soltanto scienza del passato, ma anche scienza dell’avvenire. Il “distacco” di Tucidide dai fatti che narra gli consente di denunciare, nella sobrietà della narrazione, le violenze spesso gratuite e ingiustificate di cui è costellata la guerra. Proponiamo la lettura di una pagina relativa alla vicenda dell’Isola di Melo (Milo): gli Ateniesi organizzarono una spedizione e occuparono l’isola, i cui abitanti erano coloni dei Lacedemoni (Spartani), ma mantenevano una rigorosa neutralità. Ebbe quindi inizio una trattativa nella quale i Meli, fiduciosi, offrirono la loro amicizia: ma ciò non bastò agli Ateniesi, che dapprima assediarono le città dell’isola e poi la distrussero, perpetrando una vera e propria strage.

 

Tucidide, Le storie, V, 112-116

 

  1. E gli Ateniesi abbandonarono la discussione; i Meli, trattisi in disparte, siccome le loro vedute erano pressappoco simili alle risposte date nel dibattito, cosí risposero: “Le nostre convinzioni non sono mutate, o Ateniesi, né in cosí breve tempo priveremo della sua libertà una città abitata già da settecento anni, ma fiduciosi nella sorte che ci manda la divinità, la quale ha sempre salvato la città fino ai nostri giorni, fiduciosi inoltre nel soccorso degli uomini e dei Lacedemoni, noi cercheremo di salvarci. Noi vi proponiamo di esservi amici, e nemici di nessuna delle due parti in lotta, e vi invitiamo a ritirarvi dalla nostra terra dopo aver concluso un trattato che sembri essere utile sia a noi sia a voi”.
  2. Cosí dunque risposero i Meli; gli Ateniesi, sciogliendo ormai il convegno dissero: “Certo, a giudicare da queste vostre decisioni, voi soli, fra tutti quelli che conosciamo, considerate piú sicuro il futuro del presente e, per il fatto che lo desiderate, contemplate l’incerto come se stesse già realizzandolo e, gettandovi nelle braccia dei Lacedemoni e delle speranze e della sorte, quanto piú siete pieni di fiducia, tanto piú incontrerete anche gravi sciagure”.
  3. E gli ambasciatori ateniesi tornarono al loro esercito: gli strateghi ateniesi, siccome i Meli non cedevano, si dettero subito a cominciar la guerra e, divisosi il lavoro città per città, assediarono tutto all’intorno i Meli. […]
  4. […] E nello stesso periodo i Meli nuovamente conquistarono, in un altro punto, una certa parte del muro ateniese d’assedio, giacché la guarnigione presente non era numerosa. E quando avvennero questi fatti, arrivò da Atene un altro esercito al comando di Filocrate di Demea, e i Meli ormai furono stretti da assedio a tutta forza; verificatosi anche un tradimento, si arresero agli Ateniesi a condizione che questi decidessero dei Meli secondo la loro discrezione. E gli Ateniesi uccisero tutti i Meli adulti che catturarono e resero schiavi le donne e i bambini; abitarono quindi loro stessi la località dopo avervi inviato cinquecento coloni.

 

(Erodoto e Tucidide, Storic greci, Sansoni, Firenze, 1993, pagg. 708-709)

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