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Lo scrittore cileno intervistato da Concita De Gregorio parla di politica, di diritto-dovere di andare a votare il giorno delle elezioni e di corruzione: “Si pensava che la tangentopoli italiana fosse il punto più alto, invece è globale”
di MICHELA SCACCHIOLI
GENOVA – La “rabbia dell’oceano” irrompe nella stanza dalla finestra di casa sua, mentre “l’aroma del pane fragrante” è ancora lì, dopo tanti anni, su quel tavolo dove ancora scrive. A lui piacciono entrambi – l’oceano e il pane fragrante – così come gli piace ripetere: “Io mi sento profondamente un uomo del sud, un uomo della Patagonia, sotto al parallelo 42, anche se sono nato nel nord del Cile”. Luis Sepulveda è in collegamento via Skype – dalle Asturie, in Spagna – con la Repubblica delle Idee. Un incontro dedicato al ‘desiderio ostinato di vita’, che si articolerà molto su temi che stanno a cuore allo scrittore cileno: dalla corruzione alla necessità di organizzare il dissenso, dai progetti politici che vivono a sinistra fino al diritto-dovere di andare a votare il giorno delle elezioni.
Intervistato da Concita De Gregorio – dal palco del teatro Carlo Felice a Genova -, Sepulveda, l’uomo che ha lottato con l’azione per la libertà del suo Paese e con la scrittura per far conoscere al mondo l’intoccabilità di un bene così alto, parla della dittatura di Pinochet, del carcere vissuto per mano del regime e dice: “Non bisogna mai perdere la fiducia nel futuro, nonostante tutto”. Nonostante la corruzione “in Cile come in Spagna”. Una riflessione che tocca anche l’Italia quando lo scrittore dice: “Si pensava che la tangentopoli italiana fosse il punto più alto della corruzione”, invece si scopre che è modello globalizzato. Come reagire? “Bisogna mandare all’inferno questi corrotti – dice – e sono convinto che anche in Italia abbiate la forza di dire basta”. Il problema, semmai, è come fare a organizzare il dissenso. “C’è una maggioranza di persone oneste che non riesce a sconfiggere una minoranza di persone corrotte. Con il crollo del muro di Berlino – era il 1989 – la sinistra si è chiesta e adesso che facciamo? Non abbiamo avuto il tempo di costruire un progetto politico veramente alternativo all’attuale. Ora è tempo di reinventarla questa alternativa”.
Arrivare a parlare di Podemos è un attimo: in Spagna, poche settimane fa, il risultato elettorale del voto amministrativo e regionale ha consegnato Barcellona ai post-indignados i quali hanno imposto un drastico ridimensionamento ai due grandi partiti tradizionali, il Pp e il Psoe. Concita De Gregorio sollecita lo scrittore per un confronto tra le esperienze italiana, greca e spagnola. Accostare Podemos al Movimento 5 Stelle, secondo Sepulveda, non ha alcun senso: il secondo – dice – non c’entra niente col primo. Perché il primo “è dotato di democrazia interna” e perché col primo “è possibile costruire una società produttiva nella quale i lavoratori non paghino il prezzo del mantenimento della società stessa”.
Certo, prosegue, la disillusione e il sentimento anti-casta sono comprensibili. Tuttavia, “il primo dovere del cittadino è andare a votare il giorno delle elezioni”. Una frase che colpisce dopo le cifre sull’astensionismo in Italia: Sepulveda è un uomo che ha fatto della politica la ragione della sua vita, voleva fare la rivoluzione e ne ha pagato il prezzo sulla propria pelle. Quaranta anni dopo, però, ha il coraggio di dire alla platea di Genova “votiamo” e ha la capacità di distinguere: nella politica “non sono tutti uguali”. Vero è che “non possiamo aspettare che qualcuno faccia le cose al posto nostro”. Podemos, insiste, ne è un esempio: dietro di sé “ha un progetto politico preciso”.
Dalla politica alla letteratura è un altro passo breve. De Gregorio lo invita a parlare dell’Uzbeko Muto e di Ultime Notizie dal Sud. Si arriva al “pane sacramentale”, a quel tavolo che un amico panettiere di Amburgo – dove lui ha vissuto – ha voluto donargli prima di andare in pensione a causa dell’artrosi alle mani. Dal pane al cibo, e dal cibo “all’amore per la cucina” che “caratterizza la famiglia Sepulveda”. E poi l’ammirazione e l’amicizia con Francisco Coloane, romanziere cileno, uno che “ha vissuto una vita che è stata come le opere che ha scritto”. Di Coloane gli piace raccontare la prima volta che è andato a trovarlo a casa sua. Di come gli abbia trasmesso l’amore per la Patagonia e di quel “brindisi a Pablo” Neruda che ha chiuso quel loro incontro. Un incontro fissato alle 5 del pomeriggio: un tipico appuntamento cileno, “l’ora delle 11”. Undici come i caratteri di ‘aguardiente’, la bevanda alcolica che in Cile gli uomini sorseggiano a quell’ora del giorno.