non sono per niente d’accordo, è l’eterna illusione.
Da finanziaria, la crisi è diventata economica. La società comincia a sentirne pesantemente gli effetti. Eppure, come mostrano i risultati elettorali recenti in Gran Bretagna, Olanda o Polonia, i cittadini non votano a sinistra e promuovono governi di destra che promettono «lacrime e sangue». Come mai? C’è un blocco del pensiero di sinistra che non riesce più a presentare ricette convincenti? Ne parliamo con il filosofo francese Michel Féher, presidente dell’associazione “Cette France là”, nata nel 2007 prima delle presidenziali, che si è impegnata a pubblicare degli annali sulla politica dell’immigrazione durante i cinque anni di presidenza Sarkozy.
Abbiamo appena vissuto un breve periodo in cui sembrava che i dirigenti mondiali volessero rimettere lo stato al centro e abbandonare la deregulation che ha permesso l’esplosione della finanza. Poi, però, la soluzione proposta è stata quella dell’austerità generalizzata, a causa delle difficoltà in cui si trovano gli stati, sopraffatti da deficit e debiti. Come lo spiega?
C’è stata la crisi finanziaria e immediatamente una prospettiva di crisi economica. Alcuni dirigenti, come Sarkozy o Gordon Brown – Obama non era ancora stato eletto – hanno detto: ce ne occupiamo noi, non ci sono problemi. Cioè dei dirigenti neo-liberisti di colpo dicono che siamo alla fine della dittatura dei mercati, che bisogna moralizzare il capitalismo e che bisogna mettere al passo il mercato. Ci dicono che dobbiamo passare da una crescita basata sul credito a una crescita fondata sulla produttività, sull’emergenza dell’economia verde, che significherà il rilancio dell’industria europea, dell’occupazione e della protezione dell’ambiente. Ci dicono che il neo-liberismo è finito, che c’è il ritorno del keynesismo. Ci dicono però che per prima cosa, per evitare la tragedia del ’29, quando si era lasciato fare il mercato, bisogna rifinanziare le banche. Con questa scelta il debito, che era privato, è diventato pubblico. Ma appena fatto questo primo passo, gli stati si sono trovati senza i soldi necessari per rilanciare la promessa crescita verde. C’è stata quindi la necessità di ricorrere al prestito. Questo prestito non è stato chiesto ai contribuenti, perché avrebbe potuto essere politicamente pericoloso, ma alle banche, che erano state rifinanziate dagli stati. A questo punto, le banche hanno posto le loro condizioni, cioè una redditività relativamente forte per i loro prestiti. Addio quindi crescita verde, finanziamenti per la ricerca eccetera. Il nuovo keynesismo sfuma. L’opinione pubblica, però, ha recepito l’idea che le banche svolgono la parte dei cattivi e che il rilancio attraverso l’economia verde è un bene. Questa non è stata una buona notizia per i mercati. Ma i debiti ora sono pubblici e la banche hanno fischiato la fine della ricreazione. Di qui l’imposizione delle misure di austerità. Biosgna fare una piccola parentesi: si dice che l’austerità sia una scelta neo-liberista, ma questo non è vero. Il monetarismo degli anni ’79-’82 è stato il preludio al neo-liberismo, è servito per schiacciare i sindacati, per far passare lo smantellamento del welfare. Il neo-liberismo inizia quando il monetarismo finisce, con il calo dei tassi di interesse e il rilancio del credito. Una specie di keynesismo dei ricchi. Oggi si rifà del monetarismo per poi poter rilanciare il sistema neo-liberista. Lo scopo è la ricostituzione delle condizioni di riproduzione del sistema come negli anni ’90. E sembra funzionare. Se la Grecia è un buon test, vediamo che la protesta è durata pochi giorni e poi, soffrendo, mugugnando, deprimendo, per alcuni fino al suicidio, non c’è una rivolta contro questo tipo di austerità.
Ci sono rischi di derive populiste per far passare la pillola?
Magari non subito, ma tra qualche mese potrebbero esserci scappatoie xenofobe per far passare il cattivo umore, il risentimento, facendo passare l’idea che sia colpa degli stranieri.

Siamo condannati a questo o c’è un’altra strada? Sembra che il pensiero a sinistra sia bloccato.
In effetti. La risposta della sinistra di destra, detta moderna, è che non c’è niente da fare, non si può perdere il rating AAA, bisogna sottomettersi ai mercati. L’unica proposta è che il rigore venga meglio ripartito, in un modo più giusto, con più tasse sul capitale. La sinistra della sinistra dice che bisogna rivoltarsi, ma non ha presa sociale. Dimentica infatti che dall’inizio degli anni ’80 a oggi il neo-liberismo è stato fino ad un certo punto un compromesso sociale. Ha creato ineguaglianze, sono cresciuti gli esclusi, ma grazie al credito e all’indebitamento tutto ciò non si è tradotto in un impoverimento generalizzato della classe media e medio bassa. Anche il welfare è stato mantenuto a credito, sono vent’anni che gli stati si rivolgono ai mercati per finanziare il welfare ed evitare un aumento delle tasse. I mercati finaziari hanno così sovvenzionato la deindustrializzazione dei paesi del nord, che hanno vissuto a credito e di servizi, mentre i paesi emergenti avevano bisogno dei consumi dei paesi ricchi. Per questo le argomentazioni della sinistra della sinistra non prendono: a breve, sopprimere il potere finanziario significherebbe un impoverimento maggiore di quello causato dai programmi di austerità in corso. I profitti delle società del Cac 40 (il principale indice della Borsa francese, ndr), per esempio, dipendono al 60% da operazioni di Borsa e meno del 40% da operazioni commerciali, cioè non si vive di ciò che si vende ma di operazioni finanziarie. Sopprimerle significherebbe un impoverimento non solo della finanza, ma anche dei lavoratori. Attraverso il sistema del credito, il neo-liberismo ha creato una vera solidarietà sociale. C’è però una pista. Se il marxismo ci ha insegnato qualcosa è che il conflitto sociale si deve costruire dove si forma il plusvalore, il profitto. Nel capitalismo industriale, il plusvalore si costruiva sul mercato del lavoro, sullo sfruttamento del lavoro. Oggi anche se i diritti del lavoro vengono limitati, non si sarà mai competitivi come l’India o la Cina. I rapporti di forza sociali sono oggi sul mercato dei capitali. Per le grandi società, la strategia neo-liberista consiste non nel massimizzare i profitti industriali e commerciali, ma nel far crescere il più possibile il valore delle azioni. Di qui le fusioni/acquisizioni, l’esternalizzazione della produzione. L’importante è la prospettiva di un aumento del rendimento delle azioni e l’immagine dell’azienda. Se l’azienda ha una cattiva immagine, o perché i prodotti sono di cattiva qualità (Toyota), o perché crea un pericolo ambientale (Bp) o perché tratta male i dipendenti (Foxcnn), il titolo crolla. Significa che è a questo livello che il movimento sociale deve agire. Da tempo, nella teoria dell’impresa, c’è attenzione verso gli shareholders, gli azionisti e gli stakeholders, le parti in causa, individuali o collettive, che sono coinvolte dai progetti o dalle decisoni dell’impresa. Cioè i dipendenti, ma anche i consumatori che comprano i prodotti, gli abitanti che vivono vicino al sito, i contribuenti dei servizi pubblici, in altri termini gli utenti nel senso più largo. Per sbloccare il pensiero di sinistra bisognerebbe cominciare col prendere sul serio quello che era un gadget, cioè la responsabilità sociale e ambientale delle imprese, nato solo per garantire l’immagine e il valore delle azioni. Bisogna appropriarsi di questa dimensione, ridefinirsi come il partito degli stakeholders. Un’articolazione tra gli interessi dei dipendenti, dell’ambiente, dei consumatori. Biosgna realizzare sul mercato dei capitali quello che il movimento operaio ha fatto sul mercato del lavoro. Il movimento operaio non ha detto che il lavoro dipendente era schifoso, che bisognava tornare all’artigianato. Il movimento operaio ha piuttosto accettato la nozione di un mercato della forza lavoro, per meglio insediarsi e far valere gli interessi collettivi – piuttosto che individuali – dei lavoratori: le conquiste sociali del XX secolo sono derivate da questa strategia. Il grande successo del neo-liberismo, la sua forza, non è stata solo di proteggere gli interessi dei proprietari ma di far sì che la maggioranza si identificasse con i proprietari, anche se non lo era. I piccoli risparmiatori hanno avuto accesso al mercato finanziario con i fondi pensione, i fondi di investimento, le stock options eccetera. Si è arrivati al paradosso di chi dice: accetto la moderazione salariale perché questo farà salire il valore delle azioni. Anche i più poveri sono entrati in questo meccanismo, attraverso l’accesso facile al credito, si identificano come i proprietari che non sono ancora ma che sperano di diventare. Hanno ipoteche sulla casa da rimborsare e difendono la diminuzione delle tasse che permette loro di rimborsare il credito. Gli stakeholders si comportano come degli shareholders, anche se non lo sono. Il risveglio della sinistra avverrà quando i piccoli proprietari si renderanno conto che sono anche consumatori, lavoratori, tributari dell’ambiente in cui vivono. Che possono scegliere quale vita vogliono. La sinistra deve entrare in Borsa.

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